All’interno del dibattito generale scaturito dal crollo del ponte autostradale di Genova meriterebbe un posto una riflessione sulla Responsabilità Sociale d’Impresa.
A parte che i problemi iniziano già dal nome, in quanto non esiste una definizione univoca e anche i termini alternativi a volte utilizzati (sostenibilità di impresa, corporate accountability, …) hanno significati parecchio differenti.
Possiamo dire che è negli Stati Uniti, intorno agli anni ‘60, che si è iniziato a parlare di Responsabilità Sociale d’Impresa, quando le grandi corporation erano considerate quasi degli enti pubblici con responsabilità verso i propri dipendenti e i territori ove erano insediate.
Nel 2000 le Nazioni Unite promuovono il Global Compact, un accordo teso a favorire lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e del lavoro e la lotta alla corruzione.
Il Global Compact è fondato su dieci principi guida che potremmo riassumere sommariamente così:
1) “Alle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani universalmente riconosciuti nell’ambito delle rispettive sfere di influenza”;
2) “di assicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani”;
3) “di sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva”;
4) “l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio”;
5) “l’effettiva eliminazione del lavoro minorile”;
6) “l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione”;
7) “di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali”;
8) “di intraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabilità ambientale”;
9) “di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l’ambiente”;
10) “di contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse l’estorsione e le tangenti”.
Peccato però che le imprese interessate possano aderire liberamente ma non vi sia alcuna forma di controllo o sanzionamento.
Nel 2001 la Commissione Europea pubblica un Libro Verde sull’argomento, in modo da stimolarne il dibattito, ed individua due dimensioni della RSI: una interna che riguarda la gestione delle risorse umane, la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro, la gestione delle trasformazioni aziendali e l’impatto ambientale ed una esterna, che comprende il rapporto con la comunità locale, con i partner commerciali, i fornitori, i consumatori, la promozione dei diritti umani e dell’ambiente in senso più generale. Anche in questo caso la R.S.I. deve essere volontaria.
Insomma: oggi, con un panorama sociale profondamente cambiato, la dottrina economica neoliberista dominante e con la globalizzazione che ha reso sempre più labili i rapporti dell’impresa con uno specifico territorio possiamo dire che la Responsabilità Sociale d’Impresa, tranne qualche raro e meritevole episodio, è, al massimo, un auspicio.
E i risultati li abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi.