Al lavoro per portare a compimento la seconda tappa del progetto iniziato con la mostra “La guerra negli occhi”. Protagonista sarà un altro importantissimo fotoreporter di guerra contemporaneo. Di seguito alcuni frammenti del commento critico che accompagnerà il percorso espositivo.
James Nachtwey, anti-war photographer
Fin dall’inizio, la missione principale di Nachtwey è quella di “dichiarare guerra alla guerra” e questo suo intento è rimasto sempre immutato.
In un mondo saturo di informazioni, lo spettatore viene stordito da una quantità infinita di immagini che si susseguono ripetitivamente, in un sovraccarico bombardamento dei sensi. In questa confusione più totale, le immagini di Nachtwey impongono una battuta di arresto, un baluardo contro l’abisso dell’oblio. Il volto del giovane ruandese sfigurato dal machete non può non rimanere impresso nella memoria di chi lo osserva, così come la solitudine piena di dignità della vedova coperta dal burqa nel cimitero deserto di Kabul.
Nachtwey fotografa per testimoniare e parla in nome delle vittime: le sue immagini comunicano con la loro voce, supplicano e gridano, così il loro dolore e la loro angoscia si potranno sentire ovunque, da Mostar a Jenin fino a Gerusalemme. Le vittime non dovranno subire un’altra morte per mano dell’indifferenza dei media che spesso ignorano o dimenticano le loro pene.
Nachtwey è un uomo che ha bisogno di, utilizzando parole sue, “convincere se stesso, ancor prima di convincere il resto del mondo, che essere un fotoreporter di guerra è la strada giusta da percorrere”. Dopo tutti questi anni di lavoro, riesce ancora ad avere fede in questo intento e continua a credere con fermezza alla sua passione, con gli occhi di un testimone privilegiato.
Sulle orme di William Eugene Smith, Robert Capa e Larry Burrows, segue i loro passi per dimostrare la divergenza che spesso si crea fra la realtà e ciò che i politici vogliono far credere. Nachtwey spera di essere all’altezza per portare avanti questo proposito di lotta contro la falsità. Si addice alla sua opera lo slogan pensato da David Douglas Duncan per scuotere l’opinione pubblica americana nel suo ultimo libro sulla Guerra del Vietnam: “This is war. I protest.”
“Noi abbiamo l’arte per non morire a causa della verità”, ci ricordano le parole di Nietzsche. E abbiamo le fotografie di Nachtwey per non morire di lenta agonia a causa dell’indifferenza.
Lasciamo che l’occhio renda testimonianza e che il cuore sia testimone di solidarietà contro l’oblio. Un antidoto a qualsiasi guerra.